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Chi sputa ancora sulla scienza?

È comprensibile che nel '600, quando Galileo Galilei rivelò con certezza che la Terra orbita intorno al Sole, la gente non gli credesse. A quei tempi, la scienza era quasi indistinguibile dalla stregoneria. Non a caso nel '700, quando formulò con matematica certezza la Gravitazione Universale, Isaac Newton si occupava attivamente anche di alchimia, a quei tempi quasi indistinguibile dalla chimica. Ma nel Ventunesimo secolo?


È comprensibile che nel Ventunesimo secolo ci siano persone teoricamente istruite che disprezzano, trascurano o addirittura irridono la scienza? È già sin troppo lampante che i sistemi scolastici dei paesi industrializzati non siano strutturati per diffondere la conoscenza scientifica, quantomeno al passo col quale la conoscenza scientifica sta cambiando il nostro mondo, un giorno dietro l’altro. Ma che i leader di grandi nazioni sputino in faccia alla scienza, non è proprio comprensibile.



In due sole settimane, il virus che ha cambiato il corso della Storia è stato isolato e il suo genoma sequenziato e fatto conoscere ai laboratori di tutto il mondo. Se fosse accaduto nell’anno 2000, ci sarebbero voluti mesi. Ora il presidente Donald Trump e il primo ministro Boris Jonhson, responsabili di aver detto delle sciocchezze in diretta televisiva che costeranno la vita a un gran numero di persone, confidano nel rapido arrivo di un vaccino. Ovviamente, anche di un farmaco capace di sterminare il Covid-19. Fidarsi degli scienziati solo quando devono risolvere un problema e non anche quando mettono in guardia da un problema, è come credere nella stregoneria.


L’esempio più lampante è quello del cambiamento climatico. E qui, mi dispiace dirvi che – secondo gli scienziati – i danni provocati dal riscaldamento planetario indotto dalla civiltà umana saranno molto, molto peggiori di quelli del virus. Un possibile esempio: la Groenlandia, che si sta sciogliendo a una velocità superiore al previsto. Il giorno che non avrà più ghiacci, il livello del mare sarà più alto di sette metri. Addio pianura padana, addio Olanda, addio Bangladesh, addio a tanta agricoltura. La spaventosa temperatura record di 20,7 gradi centigradi registrata in Antartide il 9 febbraio scorso – proprio mentre in Cina esplodeva l’epidemia – dimostra che le ammonizioni fatte dalla comunità scientifica a partire dagli anni 80 erano corrette. Eppure, c’è ancora qualcuno che le irride.


Sono almeno trent’anni che leggo, almeno una volta all’anno, di qualche scienziato che lancia l’allarme: un giorno un virus riuscirà a “saltare” da un animale all’uomo, scatenando una pandemia. «Non è questione se accadrà o no, ma quando», era il ritornello. Bill Gates ha lanciato l’allarme nel 2015, ma non se l’è inventato lui: ha solo ripetuto quel che ha udito dagli scienziati. Se è per questo, nel mio piccolo l’ho ripetuto anch’io in un articolo del 2005, ai tempi dell’influenza aviaria H5N1. È la scienza che deve parlare, senza bavagli. Punto.


Il cosiddetto «metodo scientifico» nasce proprio con Galileo. Consiste nell’osservare i fatti con scetticismo, nel formulare ipotesi basate sulle osservazioni e nel confermare nuove deduzioni tramite misure ed esperimenti ripetibili. Non solo. Al giorno d’oggi non si tratta più di dare ascolto a un singolo scienziato (o a un singolo ciarlatano): la scienza è regolata dalla peer review (un sistema di auto-verifica, non sempre perfetto), ma soprattutto dalla costante cooperazione internazionale alla quale, in questo esatto momento, è interamente affidata l’affannosa ricerca di vaccini, cure e soluzioni per il nostro comune, impellente problema.


Per nostra fortuna, l’IPCC (il consesso mondiale di climatologi riunito dall’Onu) e l’OMS (l’Organizzazione mondiale della sanità, un'agenzia dell’Onu), sono molto più affidabili dei politici e dei diplomatici che frequentano l’aula delle Nazioni Unite. Speriamo che gli elettori, gli elettori di tutto il mondo, se ne accorgano.



Pubblicato il 22.3.2020 su Eureka, un blog de L’Espresso.

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