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Ho fatto il doping della mente




Dicono che il deficit dell’attenzione (anche noto come ADHD, attention deficit hyperactivity disorder) colpisca almeno il 5% della popolazione mondiale. Personalmente, devo riconoscere che mi aveva centrato in pieno. Una certa difficoltà nel mantenere la concentrazione è crudamente testimoniata dalle mie pagelle scolastiche, tanto delle medie che del liceo, che però raccontano anche di un lieto fine: intorno ai 18 anni, il disturbo si è assopito, per scomparire quasi del tutto. Ecco perché, non appena mi si è presentata l’opportunità di fare il doping della mente, non mi sono tirato indietro.


Si chiama Adderall. È un farmaco contro l’ADHD venduto negli Stati Uniti eppure vietato in Europa, per il semplice motivo che è una combinazione di sali di anfetamina. In America viene prescritto anche ai bambini e si dice che ci siano scuole elementari dove un quinto degli alunni è sotto cura. A dire il vero, avrei voluto provarlo parecchi già mesi fa, mentre stavo scrivendo “Cervello. Manuale dell’Utente” (da poco uscito per Giunti Editore), dove non poteva mancare un capitolo sui cosiddetti farmaci nootropici, quelle molecole che riescono ad aumentare le funzioni cerebrali.


Mi sono imbattuto in una pillola di Adderall lo scorso agosto, mentre ero negli Stati Uniti. Parlando del mio libro con un vecchio amico newyorchese, viene fuori che lui ha la prescrizione medica. «Ma come – gli chiedo strabiliato – proprio tu che ha una laurea e un PhD?». Mi assicura che i test hanno confermato la diagnosi e che è sotto cura da più di due anni. Al che, gli chiedo di regalarmi una pillola e lui, un po’ riluttante, me ne dà una da 20 mg.


Disclaimer: l’ho inghiottita qualche settimana fa, mentre non mi trovavo in Italia. Ma sono rimasto strabiliato: non avevo mai conosciuto quel livello di concentrazione in vita mia. Mosso da un afflato scientifico, ho cercato di fare qualche test. Dato che l’ADHD aveva ostacolato anche il mio sogno giovanile di fare il pianista, ho provato a imparare a memoria il più facile preludio del Clavicembalo Ben Temperato (quello in Do maggiore). Per un’ora e mezza ho pensato solo a quello, senza che la mente scivolasse via continuamente, come fa di solito. Alla fine lo ricordavo. Me lo ricordo tutt’ora. Ma invece di un’ora e mezza erano passati 40 minuti. Con qualche rimpianto, mi son venuti in mente i lunghi pomeriggi della gioventù, quando lo stesso concetto di “studiare” mi appariva fumoso e inafferrabile.


Ho fatto altre prove, come scrivere un articolo che dovevo consegnare a un giornale: stesso risultato. Al che, ho anche cominciato a pensare a come fare per accaparrarmi una scatola di Adderall, o magari di Ritalin (un altro farmaco per l’ADHD, venduto in Europa). Il film “Limitless”, quello dove Bradley Cooper diventa intelligentissimo deglutendo l’NZT-48, una pillola nootropica prodotta da un laboratorio segreto, ha incassato solo al botteghino 160 milioni di dollari. Forse perché a un sacco di gente piacerebbe deglutirla. Anche se, diciamo la verità, quella pillola aveva lo sgradevole effetto collaterale della dipendenza.


Non posso testimoniare che la pillola di Adderall produca dipendenza: ne avevo solo una. Però posso garantire che la mattina dopo alle 5 ero ancora sveglio e che, dopo aver dormito, ero distrutto. Forse era eccessiva la dose di 20 mg, prescritta a una persona più alta e robusta di me. Ma cosa ci si può attendere da una molecola combinata che, a conti fatti, è anfetamina?


In attesa che la ricerca produca un farmaco simile a quello del film, le sostanze nootropiche sono diventate un fenomeno sociale. Già quattro anni fa, durante una cena, ho sentito il rettore di una celeberrima università americana dichiarare che Adderall e Ritalin erano uno dei suoi principali problemi: la competizione accademica era sistematicamente alterata dall’elevato numero di studenti che assumono farmaci nootropici, trafugati in un modo o nell’altro. Fra gli ingegneri della Silicon Valley, dove possedere un brillante livello cognitivo fa la differenza nella carriera, i nootropicscorrono a fiumi. È una vera e propria forma di doping.


Quasi a testimoniare il diffuso anelito per qualcosa di vagamente simile all’NZT-48, c’è il successo degli stack (letteralmente: pila), ovvero combinazioni di sostanze più o meno naturali con un presunto effetto nootropico. Essendo considerati “prodotti da banco” sono venduti liberamente. Su Amazon America ci sono 37 pagine web che offrono centinaia di pillole diverse, come Mind Matrix, Optimind o Neurofit.


Resta solo una domanda. Anche in molti paesi europei (con la notabile eccezione della Finlandia) la prescrizione di Adderall o Ritalin ai bambini irrequieti è cresciuta a vista d’occhio. Ma nulla è comparabile all’America. Secondo il CDC (il Center for Disease Control and Prevention), all’11% dei giovani fra i 4 e i 17 anni è stata diagnosticata la ADHD. Tre quarti di questi – curiosamente con un picco negli Stati che votano repubblicano – inghiottiscono medicinali non privi di effetti collaterali e non liberi da possibili dipendenze. Siamo davvero sicuri che, soprattutto a quell’età, il doping della mente sia una buona idea?



Pubblicato il 18.12.17 su Eureka, un blog de L’Espresso

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