Mi sono guardato dentro, all’origine dei miei pensieri, delle mie emozioni. Ho visto le parole accendere fisicamente le lampadine del cervello, mentre la loro stessa visione innescava un bagliore di attività elettriche.
Per dirla più prosaicamente, sono entrato dentro a una macchina per la risonanza magnetica funzionale (fMRI), lo strumento che negli ultimi venti anni ha drasticamente accelerato il cammino della neuroscienza. Tracciando in tempo reale i flussi sanguigni che trasportano ossigeno alle aree più attive del cervello, l’fMRI è in grado di registrare le funzioni cerebrali mentre accadono. Largamente più usata per fini scientifici che diagnostici, la risonanza magnetica funzionale ha aperto nuovi orizzonti della ricerca – dalla fisiologia alla psicologia – talvolta in accoppiata con altre tecnologie di neuroimaging, come PET o MEG.
Dire che ho guardato l’origine dei miei pensieri è una licenza poetica. Eppure ho visto dentro alla mia scatola cranica: 240 immagini che – strato dopo strato – ricompongono l’organizzazione degli oltre 80 miliardi di neuroni dello stesso cervello che sta scrivendo queste parole. Grazie a Mango, un software scritto dalla comunità scientifica per la comunità scientifica, sono riuscito a realizzare tre animazioni, una per ogni dimensione spaziale. Chi ha un minuto di tempo, può vederle su YouTube.
Ma la risonanza funzionale è capace di ben altro. Mentre ero dentro alla macchina, due ricercatori della Northwestern University mi hanno fatto partecipare a uno dei loro esperimenti: su uno schermo appaiono parole in successione e il cervello deve dire al dito di premere un pulsante quando trova un errore tipografico. Come risultato, le immagini fMRI mettono in mostra alcune aree del lobo temporale sinistro (dove il cervello processa il linguaggio) che si illuminano, così come il lobo occipitale dietro la nuca (dove i neuroni producono la meraviglia della vista). Sono le parole che accendono le “lampadine” del cervello.
Ho visitato il Neuroimaging Lab dell’università di Chicago due mesi fa, per via di «Cervello. Manuale dell’utente», il libro che stavo scrivendo (e che a dire il vero esce in libreria proprio questa settimana per Giunti Editore). Volevo vedere con i miei occhi le neurotecnologie più avanzate, inclusa la macchina per la TMS, la stimolazione transcraniale profonda. In poche parole, inducendo una corrente elettrica (senza metodi invasivi) in un punto esatto del cervello, si possono diagnosticare malattie, si posssono curare alcune patologie e si possono scoprire cose nuove. In teoria si può indurre la paura, oppure al contrario inibirla. Però la TMS non me l’hanno fatta provare, immagino perché talvolta può essere rischiosa.
Beh, possiedo tutti i dati della mia scansione fMRI – qualche gigabyte di roba – ma Mango è veramente un po’ troppo complicato. Vi lascio con le immagini che ha composto Daniele Procissi, un professore della Northwestern che mi ha ospitato nel laboratorio. In alto a destra, le zone colorate sono quelle attive del linguaggio e della visione. Ovvero le stesse che s’illuminano nella meraviglia neuronale del cervello di chi sta leggendo queste parole.
Pubblicato il 16.10.17 su Eureka, un blog de L’Espresso.