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L’algoritmo del jazz

Può un software essere creativo come un musicista?

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«Nòva», il Sole 24 Ore, 3 marzo 2008

di Marco Magrini

MENTRE LAVORA, Pietro Tonolo attenua l’attività della corteccia prefrontale dorsolaterale, quella parte del cervello solitamente associata con le azioni programmate e le auto-imposizioni. Lui non lo sa e nemmeno se ne accorge. Eppure gli serve, nel suo lavoro.

Veneziano, 48 anni, di mestiere fa il sassofonista. In altre parole, è pagato per intonare una successione di frequenze lontane l’una dall’altra precise frazioni di numeri interi, perlopiù consonanti con un’armonia di distanze matematiche, la quale scivola nel tempo lungo una linea suddivisa in quarti o in ottavi. Ovviamente, con l’espressività che è sua propria. Ma con una peculiarità in più: ogni volta, le note che escono dal suo sax sono diverse da quelle della volta precedente. Perché Tonolo vive di musica in generale, ma in particolare di jazz, la grande arte del Novecento che, proprio sulla meditata spontaneità dell’improvvisazione, ha costruito una straordinaria formula di espressione artistica.

«Per scrivere 5 minuti di musica, un compositore può anche prendersi 5 mesi di tempo – dice Tonolo sorridendo – mentre un jazzista ha solo… beh, 5 minuti». La creazione istantanea, in tempo reale, è la prima caratteristica del jazz, così apparentemente esoterica (seppur abituale, ai tempi di Bach) da aver generato molti luoghi comuni. Per esempio che sia priva di schemi. O che, all’opposto, venga da un’ispirazione trascendentale. «Si tratta di seguire delle regole e al tempo stesso di crearne di nuove», commenta Tonolo. «Borges diceva che la scrittura è memoria e oblio. È un po’ la stessa cosa. Quando improvviso, è come se perdessi alcune percezioni più superficiali, eppure sono concentratissimo».

«Per scrivere cinque minuti di musica, un compositore può prendersi cinque mesi di tempo. Ma un jazzista ha solo… beh, cinque minuti».

È esattamente quel che ha scoperto un pool di ricercatori della Johns Hopkins University di Baltimora, che – come riportato in uno studio pubblicato la settimana scorsa – ha osservato con la risonanza magnetica l’attività cerebrale di sei pianisti di jazz, mentre suonavano musica scritta e poi musica improvvisata. Nel secondo caso, e solo nel secondo, hanno visto quella ridotta attività neuronale nella corteccia prefrontale, come se, nell’atto di improvvisare, il musicista lasciasse più libere le briglie della creatività. Senza però abbandonare il controllo del destriero musicale: durante la fase improvvisata, gli scienziati hanno riscontrato anche un aumento dell’attività nella corteccia prefrontale, dedicata all’espressione di sé, che ad esempio si “accende” quando si racconta una storia. Nel nostro caso, una storia fatta – invece che di parole – di frequenze, di distanze, di durate, di intonazioni. Ovvero, sottosotto, di numeri.

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Pietro Tonolo durante un concerto. A destra, il video di una sua composizione e una presentazione del suo disco sulla musica

LA STRETTA RELAZIONE che c’è fra musica e matematica esaltò il buon vecchio Pitagora. Agli occhi del filosofo di Samo, il fatto che la fisica acustica rispondesse così fedelmente alla logica dei numeri, aveva dei significati mistici: la vibrazione di una corda, se dimezzata, produce un suono esattamente di un’ottava più alto (da Do al Do superiore). Se ridotta di tre quarti, produce un intervallo di quarta (da Do a Fa). Se di due terzi, produce una quinta (da Do a Sol) ovvero l’intervallo più consonante che c’è.

«La musica è fondamentalmente eleganza. Proprio come le leggi della fisica».

Al giorno d’oggi, è sin troppo facile osservare che tutta la musica digitale è tradotta in matematica binaria, tutti zeri e uni. Semmai, è più interessante notare che il protocollo Midi, che dal 1983 fa parlare gli strumenti con i computer, riduce a grande semplicità la musica suonata da chicchessìa: perché altezza, durata, posizione nel tempo, volume ed espressione, alla fine sono tutti numeri.

«La musica è fondamentalmente eleganza», osserva Tonolo che, sulla scena dall’età di 18 anni, è da tempo considerato uno dei massimi jazzisti italiani. «E mi ha sempre colpito il fatto che i matematici, o i fisici, siano ugualmente alla ricerca di formule che abbiano un requisito fondamentale: l’eleganza. In ultima analisi, è la bellezza, che collega i due mondi».

L’ultimo disco del sassofonista veneziano si chiama «Your Songs» ed è stato registrato a New York insieme a Paul Motian (batteria), Gil Goldstein (piano) e Steve Swallow (basso), per l’etichetta Obliq Sound, la quale aveva espressamente chiesto a Tonolo un album sulla musica di Elton John. Su YouTube c’è una divertente intervista ai musicisti, che non paiono amare troppo le composizioni del baronetto inglese. Eppure, l’album è molto bello. O, se volete, elegante. «Nel jazz – spiega Tonolo – il come è più importante del cosa».

 

Ma questo «come» si può tradurre in matematica? Al Biles giura di sì.

Trombettista e professore al Rochester Institute of Technology, a metà anni 90 ha scritto GenJam, un programma basato su un algoritmo genetico che è in grado di improvvisare come un jazzista. Genetico perché funziona con un sistema di intelligenza artificiale, grazie al quale, a forza di consigli e suggerimenti, GenJam impara a improvvisare sempre meglio. 

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hhhhh

BILES SI ESIBISCE ANCHE IN PUBBLICO con la tromba, accompagnato dal suo Virtual Quintet, che di fatto è un computer che invia a degli strumenti Midi la sua brava invenzione in tempo reale di piano, basso, batteria e altri strumenti a fiato. «GenJam è l’unico sistema di calcolo evolutivo che opera come un vero e proprio musicista», sostiene Biles, perché giustappunto impara e migliora col tempo. In commercio però, ci sono già software (come il celebre Band-in-a-box) capaci di “improvvisare” tanto le parti di accompagnamento che quelle solistiche.

Ma un algoritmo è capace di creatività? Potrebbe un giorno un algoritmo evolutivo inventare un suo stile musicale e diventare un nuovo Miles Davis?

Pietro Tonolo se la ride. Par di capire che escluda questa eventualità. È vero che in 5 minuti un jazzista può produrre 5 minuti di eleganti formule musicali ma, alle spalle, ci sono anni di pratica e di ascolto, e c’è davvero un darwinismo neuronale della creatività, a sostegno dell’ingegno improvvisativo. «Dopo un certo tempo – ammette – nella tua testa scompaiono i riferimenti matematici, la notazione musicale.» Resta solo l’eleganza? «Sì, come nella matematica. O come nella poesia».

Quando si parla di tecnologia, mai dire mai. Ma oggi, a 2.498 anni dalla morte di Pitagora, la differenza fra l’algoritmo genetico GenJam e l’algoritmo neuronale nella testa di Tonolo è alla portata di tutte le orecchie. Basta una visita al sito di GenJam e un passaggio da iTunes Store (dove i primi 30 secondi delle canzoni di Elton John interpretate da Tonolo sono ascoltabili gratuitamente) e farsene un’idea.

GenJam sarà anche evolutivo. Ma – com’è sin troppo evidente – gli manca una corteccia prefrontale dorsolaterale. 

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